Giusti e giustizieri

Pubblicato su Libertà di educazione, n.4/1999, pp. 42-46.

Il problema della amministrazione della giustizia non è di recente origine, ma è negli ultimi secoli che, col precisarsi del concetto di democrazia e dunque di controllabilità di chi detiene un potere, tale problema è stato messo a tema in modo sistematico, soprattutto dal punto di vista del rapporto tra potere politico e potere giudiziario. È noto come già Montesquieu avvertisse l'esigenza di una distinzione tra i vari poteri dello stato. Distinzione che non è facile e che, sistematicamente e programmaticamente calpestata dai regimi totalitari, avvalentisi di una magistratura totalmente succube, è stata negli stessi sistemi di democrazia occidentale continuamente insidiata da ingerenze e sconfinamenti reciproci. Ma è in particolare l'Italia probabilmente uno dei pochi casi nel mondo occidentale in cui la magistratura abbia attuato una vera e propria rivoluzione politica, non meno incisiva perché incruenta di altre rivoluzioni: ci riferiamo alla vicenda "Mani pulite", che, comunque la si giudichi e comunque si immaginino le motivazioni ultime dei suoi protagonisti giudiziari, ha di fatto spazzato via in poco tempo una intera classe dirigente ed ha gettato un discredito duro a cancellarsi su un'intera stagione della vita politica italiana. Comunque lo si giudichi l’effetto indotto da tale vicenda è stato, ci si passi il termine sinteticamente cruento, lo spappolamento del centro, per cui il bipolarismo introdotto dal referendum non ha creato una alternativa tra un centro-destra e un centro-sinistra, come avviene in tutti i paesi di democrazia occidentale, ma un destra-centro e un sinistra-centro[1]. È infatti evidente che il maggioritario avrebbe portato a un bipolarismo, per cui l’unità del centro sarebbe comunque stata infranta, ma senza l’onda lunga di “Mani pulite” (e di analoghe operazioni giudiziarie, come quella di Palermo e di Napoli) non si sarebbe avuto questo bipolarismo, che ha ridotto la forza del centro, dentro i due schieramenti, al lumicino.

Diciamo questo per evidenziare l’importanza di ciò di cui ci occupiamo qui, e non tanto per mettere a tema una valutazione "Mani Pulite", che in questa sede ci interessa solo …tangenzialmente. Ci interessa invece mettere a fuoco il tema della funzione della magistratura, funzione che viene intesa in modo sensibilmente diverso da due grandi impostazioni, quella garantista e quella giustizialista.

garantismo e giustizialismo

1) l’ambito del potere giudiziario. Il garantismo tende a limitare l'ambito e le attribuzioni della magistratura. Il giustizialismo invece ingigantisce tali prerogative. Per il garantismo la magistratura deve limitarsi ad applicare la legge. Per il giustizialismo essa deve invece interpretarla, anche in modo libero e creativo.

Cosa intendiamo dire? Per il garantismo le leggi sono fissate dal Parlamento, e i magistrati devono limitarsi ad applicarle. Questo è un principio importante per un corretto funzionamento della democrazia: questa è infatti il “governo del popolo”, per cui il potere decisionale è assegnato (solo) ai rappresentanti del popolo. I magistrati invece non sono eletti dal popolo, e non sono da questo delegati ad esprimere orientamenti ideologico-politici. Sono investiti del loro ruolo non per un mandato popolare che li vincoli all’osservanza di un patto elettorale riguardante punti programmatici di tipo politico, ma semplicemente per una competenza “tecnica” e per un atteggiamento di onestà nell’applicare la legge in modo imparziale e scrupoloso[2]. È dunque più coerente con tali premesse l’impostazione garantistica che limita le prerogative dei magistrati ad una fedele applicazione delle leggi, emanate dagli unici rappresentanti del popolo che sono, piaccia o non piaccia, i parlamentari. Il giustizialismo invece tende a concedere deroghe, più o meno ampie, ai magistrati, i quali potrebbero andare ben oltre il senso letterale delle leggi, e saltare senza troppi scrupoli quelle che essi bollano (a loro insindacabile discrezione) come formalità insignificanti. Ad esempio i magistrati che sono stati protagonisti della “rivoluzione giudiziaria” italiana degli anni ’90 hanno applicato piuttosto disinvoltamente le disposizioni di legge riguardanti la carcerazione preventiva. Questo istituto avrebbe dovuto per legge essere circoscritto a tre casi: possibilità di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Invece la carcerazione preventiva è stata (per esplicita ammissione dei stessi magistrati) usata come strumento di pressione psicologica per indurre i sospetti a confessare, “facendo i nomi” di altri correi. Una simile prassi deborda quanto stabilito dalla legge, ma per giustizialismo essa è necessaria e perciò lecita. Necessaria perché? E qui veniamo all’altro punto, la finalità dell’azione giudiziaria.

2) il fine: sanzionare i reati o rigenerare la società? Per il garantismo si tratta di individuare e sanzionare dei singoli reati commessi da singoli individui in circostanze circoscritte. Per il giustizialismo invece l'azione penale deve andare alla (presunta) radice del male, coinvolgendo non solo chi è direttamente responsabile di illeciti, ma tutta la rete (reale o presunta) di persone o gruppi che in un modo o nell'altro fiancheggerebbero o sosterrebbero tali illeciti. Il fine dell'azione della magistratura è per il garantismo un fine circoscritto, la sanzione dei reati, per il giustizialismo è la rigenerazione complessiva della società.

Il garantismo è insomma ligio al principio del carattere personale della responsabilità (anche penale): ognuno deve pagare per i suoi reati, chiaramente individuati e delimitati. Per il giustizialismo invece non si può definire con un margine netto il confine della responsabilità di un individuo: ci possono essere individui che senza avere commesso dei reati ben precisi concorrono alla criminosità di altri individui, che senza la loro almeno implicita complicità non potrebbero delinquere. Inoltre colpire un individuo colpevole senza colpire tutti gli altri a lui contingui nel medesimo reato significa fallire lo scopo dell’azione giudiziaria. Non basta dunque colpire il singolo reato del singolo individuo, sarebbe lasciare le cose a metà: occorre estirpare il cancro dalla radice, non lasciando alcuna cellula minimamente infettata.

3) gli strumenti. Per il garantismo gli strumenti dell’azione giudiziaria sono esclusivamente quelli fissati dalla legge, per il giustizialismo essi vanno commisurati al fine, che abbiamo visto essere decisamente ambizioso. Questa differenza può essere espressa dalle due frasi che sintetizzano i due atteggiamenti: “meglio assolvere un colpevole, che condannare un innocente” per il garantismo, “meglio condannare un innocente che assolvere un colpevole”, per il giustizialismo.

nel corso della recente storia

1. È pur vero che alla fine garantismo e giustizialismo si avvicendano, nelle stesse persone e negli stessi gruppi politici e ideologici a secondo delle circostanze storiche. Lo stesso commentatore, o giornalista, o uomo politico può essere garantista in certi periodi, in cui “rischiano” soprattutto suoi amici o alleati, e giustizialista in altri, allorché sono soprattutto avversari ad avere maggiori problemi con la giustizia.

Così una certa sinistra era garantista nei confronti delle Brigate Rosse, ma ha sfoderato uno spietato giustizialismo nel periodo di Tangentopoli. Così una certa destra, rigorosamente giustizialista fino a pochi anni fa, si è ritrovata garantista allorché, avendo stretto certe alleanze, si è accorta di quanto certe indagini potessero nuocere politicamente.

2. Al di là di questo nella recente storia italiana si è assistito ad un cronico intreccio tra lotta alla criminalità e lotta politica illegale (in particolare il terrorismo), nel senso che le leggi che venivano approvate per combattere un tipo di illegalità si rivelavano di ostacolo per affrontare l’altro tipo. Il timore che eccessivi poteri conferiti alle forze dell’ordine e alla magistratura potesse essere usato per reprimere le opposizioni politiche (si veda ad esempio la strenua opposizione della sinistra al fermo di polizia negli anni ’70) ha avuto ad esempio l’effetto di limitare l’azione di quegli stessi poteri contro la grande criminalità organizzata.

3. Il garantismo ebbe un momento “di gloria” al seguito del “caso Tortora” (che com’è noto venne ingiustamente arrestato sulla parola di alcuni pentiti della camorra, e morì poi prematuramente per la sofferenza psichica causatagli da tale vicenda) negli anni ’80: un referendum, caldeggiato dal PSI di Craxi, sancì la responsabilità dei giudici nel caso di errore giudiziario.

4. Il vento del giustizialismo prese a spirare con forza dagli inizi degli anni ’90, imponendosi con prepotenza con le azioni del pool di “Mani Pulite” e delle altre procure più in vista (in particolare Palermo e Napoli). Il consenso popolare garantito da una accurata campagna di stampa ha accordato ai protagonisti di tale stagione un indiscussa autorevolezza anche in campo politico, parallelamente ad un generale discredito accumulatosi sui politici “di professione”.

5. Solo in questi ultimi anni pare si stia recuperando una visione più equilibrata del rapporto tra politica e magistratura, che ridimensioni i compiti di quest’ultima sfera dentro i limiti fissati dalla Costituzione e dalla legge.

Per un giudizio

1) sull’ambito della magistratura: è interessante notare la matrice rousseauiano-giacobino-leninista, ostile alla democrazia indiretta, della concezione secondo cui il bene del popolo non è deciso dal popolo, ma da una “avanguardia” a cui delegare fiduciosamente il potere, e che è infallibilmente destinata a ricambiare tale fiducia con una indefettibile e incorruttibile fedeltà al bene del popolo. Per i giacobini e Lenin si trattava di un club e di partito, per il giustizialismo si tratta di una parte della magistratura, ma il principio di fondo sembra molto simile. L’appello diretto al popolo, di evidente intonazione populistica, con un ricorso più all’emotività che ad argomentazioni razionali, la cura della propria immagine in una prospettiva popolaresca (esageratamente sgrammaticata e marcatamente contadinesca) sono tratti che richiamano molto certi protagonisti giudiziari alla summenzionata matrice. Ma tale impostazione si è già troppe volte rivelata nella storia come foriera di enormi danni, per poter essere condivisa.

2) il fine. La finalità che il giustizialismo attribuisce all’azione della magistratura appare troppo ambiziosa: la rigenerazione della società (è nota ad esempio la frase “gireremo l’Italia come un calzino”). Tale finalità è in sé stessa improponibile (anche per un politico): dimentica infatti che il male non è estirpabile con un taglio netto, perché la sua radice alberga nel cuore di ogni uomo (il Cristianesimo chiama questa verità peccato originale). Per il Cristianesimo la parabola della zizzania è molto istruttiva in proposito: essa non invita alla connivenza col male, ma acuisce lo sguardo a cogliere la verità totale, contraddetta da uno schematismo violento e settoriale. Non esistono infatti gruppi politici o sociali od etnici in cui il male si annidi in modo esclusivo: la lotta tra il bene e il male ha come sede il cuore, cioè la libertà di ogni uomo. Come appare aberrante pensare che per togliere il male occorra (e basti) eliminare una certa etnia (gli Ebrei per Hitler, gli Armeni per i Turchi del primo dopoguerra), o una certa classe sociale (la borghesia per Marx), così dovrebbe apparire irrealistico pensare che l’estirpazione del male (identificato con la corruzione economica) sia assicurata dall’eliminazione di certe formazioni politiche. Il nostro secolo ha dimostrato che i progetti di radicale palingenesi della società hanno sortito gravi e feroci violazioni dei diritti umani. È vero che attribuire ai giustizialisti attuali un progetto così ambizioso sembra eccessivo, tuttavia il loro fine, per quanto ridimensionato, resta debordante i confini di uno stato di diritto. E oltretutto proprio nella misura in cui non mira a una totale rigenerazione sociale, esso appare guidato da una logica di parte: colpire una parte politica, quella che al tempo stesso viene ritenuta non solo ideologicamente e politicamente avversa, ma luogo per eccellenza in cui si annida la radice di ogni possibile criminosità. Questa identificazione può benissimo non essere frutto di malafede e di calcolo politico: essa è in ogni caso implicata in una certa visione dell’uomo e della società, tesa a ragionare non in termini di persona e di responsabilità personale, ma di idealtipi collettivi e di schemi classistico-sociologici.

Certo, occorre altrettanto evitare che il garantismo sia inteso come garanzia …di impunità. Uno stato di diritto è davvero tale quando non è meno preoccupato di assicurare alla giustizia i veri colpevoli, che di evitare ingiuste condanne agli innocenti: unicuique suum.

3) gli strumenti. Certo bisognerebbe ragionare in termini di sintesi: né la condanna di un innocente né l’assoluzione di un colpevole sono fatti positivi. Se è vero che la prima possibilità è più negativa, occorrerebbe comunque fare il possibile per evitare anche la seconda.


note


[1] Tanto lo schieramento di sinistra quanto quello di destra vedono infatti il trionfo di forze politiche collocate ai margini della Prima Repubblica: gli eredi del PCI e quelli del MSI hanno una funzione rispettivamente egemonica e comunque decisiva nelle due aree. Mentre gli eredi del Centro, di quell’area politica che era stata al governo per tutti gli oltre quarant’anni della Prima Repubblica, devono accontentarsi di briciole, tanto su un fronte quanto sull’altro. Tanto ha potuto il discredito e il fango che “Mani pulite” ha gettato sull’area di centro.

[2] Diverso sarebbe il caso se i magistrati fossero eletti dal popolo, in modo analogo ai parlamentari. In tal caso si darebbe una qualche legittimazione ad interpretare le leggi in modo discrezionale e a impostare la propria azione in modo più “creativo” ed ampio.